Con l’ordinanza n. 29611 dell’11 ottobre 2022 la Corte di Cassazione ha stabilito che ai lavoratori dipendenti spetta l’indennizzo per malattia professionale anche nei casi di ansia e depressione dovuti al loro impiego.
Nella fattispecie, la Corte d’Appello aveva rigettato l’impugnazione proposta dalla lavoratrice nei confronti dell’INAIL avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva respinto la domanda della dipendente volta ad ottenere la condanna dell’Istituto ad erogare l’indennizzo per danno biologico da malattia professionale (nello specifico, disturbo dell’adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con una situazione lavorativa anamnesticamente avversativa).
Secondo la Corte d’Appello era infatti da escludere che l’assicurazione obbligatoria potesse coprire patologie non correlate a rischi considerati specificamente nelle apposite tabelle delle malattie professionali in industria ed agricoltura, di cui al DM 9 aprile 2008.
La Suprema Corte tuttavia, discostandosi da questa tesi, accogliendo il ricorso, ha affermato che “nel momento in cui il lavoratore è stato ammesso a provare l’origine professionale di qualsiasi malattia, sono necessariamente venuti meno anche i criteri selettivi del rischio professionale, inteso come rischio specificamente identificato in tabelle, norme regolamentari o di legge; non potendosi sostenere che la tabellazione sia venuta meno solo per la malattia e sia invece sopravvissuta ai fini dell’identificazione del rischio tipico ai sensi degli artt. 1 e 3 del TU”.
Alla luce di ciò, appare opportuno evidenziare che da quando è stato emanato il TU 1124/1965 il complesso delle prestazioni erogate dall’INAIL è stato oggetto di progressive modifiche, nel senso di una sempre più ampia tutela dei confronti del lavoratore, dettata anche e soprattutto dall’evoluzione del mondo del lavoro.
Infatti, mentre l’art. 1 comma 1 del TU 1124/1965 disciplina quello che la giurisprudenza definisce come “rischio specifico proprio”, cioè che attiene direttamente alle mansioni assegnate al lavoratore, l’evoluzione della tecnologia nelle aziende e delle tutele erogate a sostegno dei lavoratori ha comportato l’elaborazione nel tempo della categoria del cd. “rischio specifico improprio”, intendendosi con tale espressione il rischio che non sia insito nell’atto materiale della prestazione lavorativa ma che afferisce a situazioni ed attività strettamente connesse con la prestazione stessa.
La Suprema Corte ha dunque statuito che nei rapporti di lavoro “non rileva soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il cd rischio specifico improprio ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro” (Cass. n. 5066/2018, Cass. n. 13882/2016 e Cass. n. 27829/2009).
Per quanto sopra la Cassazione ha concluso che “ nell’ambito del sistema del TU sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica” (come peraltro previsto dall’art. 28 comma TU 81/2008 in ottica di prevenzione).
Ed ancora “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata dall’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.
In ogni caso, il riconoscimento di una malattia professionale non implica di per sé una responsabilità risarcitoria in capo al datore di lavoro, atteso che – come chiarito esplicitamente dall’INAIL con circolare n. 22/2020 – quest’ultima richiede un inadempimento effettivo dell’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c., e non semplicemente il nesso di causalità tra la patologia ed il lavoro, requisito invece necessario e sufficiente per l’esplicarsi della tutela assicurativa.