È dei giorni scorsi un’importante ordinanza della Corte di Cassazione che accende nuovamente un faro sul tema dell’accomodamento ragionevole e sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro dei soggetti fragili e /o inidonei alla mansione.

Con l’ordinanza n. 15002 del 20.05.2023, la Cassazione afferma infatti che, in caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione, il datore di lavoro viola l’obbligo di vagliare tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore stesso (meglio noto come obbligo di repechage) se non dimostra di aver verificato i possibili adattamenti organizzativi che consentono di salvare il posto al dipendente.

Nella fattispecie, la lavoratrice impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatole per sopravvenuta parziale inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni di operatrice socio sanitaria, precedentemente giudicata idonea alla mansione seppur con limitazioni. La Corte d’Appello di Genova, accertata tramite CTU l’esatta inabilità della lavoratrice, accoglieva la domanda, sul presupposto che la Cooperativa datrice di lavoro avesse violato l’obbligo di verificare la possibilità di effettuare adattamenti organizzativi ragionevoli onde trovare una sistemazione adeguata alle condizioni di salute della ricorrente, adattamento possibile alla luce del tipo di organizzazione adottato dalla società.

Avverso tale sentenza, la Cooperativa ha proposto ricorso per Cassazione.

Con l’ordinanza in esame, la Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – ha ritenuto infondato il ricorso ed ha rilevato, preliminarmente, che il datore di lavoro ha l’onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, dimostrando non solo il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore, ma anche l’impossibilità di adibirlo a mansioni (eventualmente inferiori) compatibili con il suo stato di salute.

Secondo i Giudici di legittimità, con riferimento a quest’ultimo profilo, parte datoriale avrebbe dovuto, altresì, dimostrare l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli per trovare una soluzione appropriata in grado di scongiurare il licenziamento.

In altre parole, il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare di aver posto in essere atti o operazioni strumentali all’avveramento dell’accomodamento ragionevole, tali da indurre nel giudice il convincimento di aver compiuto uno sforzo diligente ed esigibile.

Non ritenendo assolto tale onere nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Cooperativa e confermato l’illegittimità del licenziamento, con conseguente obbligo di reintegra nel posto di lavoro.

L’ordinanza, a ben vedere, non ha alcun carattere innovativo ma va certamente a rafforzare un principio di diritto consolidatosi ormai da tempo all’interno del nostro ordinamento (si veda Cass. 6798/2018) ossia quello dell’obbligo in capo al datore di lavoro di adottare tutte le misure volte a trovare una collocazione del lavoratore adatta alle sue specifiche capacità lavorative, eventualmente residue, così da scongiurare l’ipotesi estrema del licenziamento, salvaguardare in questo modo il mantenimento del posto di lavoro e tutelare i diritti e la dignità del lavoratore stesso.

Con l’approvazione, nel 2006 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), ratificata dall’Italia con la Legge n. 18/2009, si rafforza infatti il concetto già emerso negli anni settanta, secondo il quale le persone con disabilità non devono essere più considerate solo come pazienti bisognosi di cure e assistenza, bensì prima di tutto come individui che devono godere pienamente di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali, nonché del rispetto per la loro dignità.

Si rammenta poi che già la Direttiva 2000/78/CE che ha fissato un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, aveva anticipato all’art. 5 quanto poi confermato nella Convenzione Onu sul concetto di accomodamenti ragionevoli, da intendersi quali “provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato …”

Il recepimento italiano di tale direttiva avvenuto con il d.lgs. 216/2013 – così come modificato dal D.L. 76/2013 poi convertito nella legge 99/2013 – stabilisce ancora, all’art. 3 comma 3 bis, che “al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità …, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori”.

Oltretutto le strategie comunitarie in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, emanate nel tempo, hanno sottolineato la priorità del tema “disabilità” nel contesto della specifica tutela:

  • la sensibilizzazione sul valore della reintegrazione nel lavoro delle persone disabili, prevedendo tra l’altro una sistemazione ragionevole (2002 – 2006)
  • l’importanza di un posto di lavoro accessibile e sicuro per i lavoratori disabili, prevedendo una sistemazione ragionevole (2007 – 2012)
  • la promozione dell’individuazione e scambio di buone pratiche su come migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori con disabilità (2014 – 2020)
  • la valutazione e gestione dei rischi con particolare riguardo ai gruppi più colpiti dalla pandemia, come le persone con disabilità (2021 – 2027)

Infine, si ricorda che, in virtù dell’emanazione della legge 227/2021 recante delega al Governo in materia di disabilità, sono in fase di elaborazione i decreti legislativi volti alla revisione ed al riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità, nel rispetto dei principi e dei criteri indicati nella legge delega, per un’inclusione globale della persona con disabilità.