Causa e concausa di infortuni e malattie professionali: equivalenza delle condizioni

a cura di Avv. Aldo Arena

La tematica del nesso causale è oggetto di approfondita indagine in numerosi settori del nostro ordinamento giuridico e del diritto in generale. Invero, la necessità di ricondurre fattispecie concrete a schemi giuridici astratti obbliga, da sempre, il diritto ad adeguarsi alla complessità del reale.

In materia di infortuni sul lavoro, ai fini dell’indennizzabilità, occorre che sussista un nesso causale quanto meno mediato ed indiretto tra attività lavorativa ed incidente. D’altra parte, per quanto concerne le malattie professionali, si richiede un rapporto causale diretto con la lavorazione. Tuttavia, l’esposizione al rischio lavorativo può essere causata anche dal concorso di cause extra-lavorative, le quali possono rappresentare fattori di potenziamento del rischio stesso, nonché aumentare l’efficacia lesiva della malattia. Esistono, infatti, malattie a genesi multifattoriale riconducibili anche a fattori di nocività estranei all’ambiente di lavoro. In questi casi, il nesso causale relativo all’origine professionale non può essere oggetto di semplici presunzioni, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione da parte del lavoratore.

Ciò premesso, è possibile cogliere l’interesse specifico di un caso in cui l’assicurato era deceduto a causa di un’epatite HCV, contratta in seguito ad emotrasfusioni, a loro volta rese necessarie dalle conseguenze di un infortunio in itinere (fratture multiple). Nella fattispecie si è reso indispensabile chiarire se le trasfusioni in questione avessero o meno interrotto il nesso causale tra l’infortunio e la morte del soggetto. Ciò al fine di riconoscere o negare il diritto degli eredi alla rendita a superstiti di cui al D.P.R. n. 1124/1965, art. 85.

La Suprema Corte di Cassazione è stata adita dall’INAIL, il quale, soccombente in grado di appello, sosteneva che le conseguenze negative delle trasfusioni andassero ricondotte ad un errore nella somministrazione e nella prosecuzione di un trattamento medico eseguito con imperizia e negligenza dal personale medico ed infermieristico. Ne discendeva, secondo l’Istituto, che le stesse trasfusioni non erano in nessun modo riconducibili all’attività lavorativa dell’assicurato. Per l’effetto, doveva essere cassata la sentenza d’appello, quindi, negato il predetto diritto alla rendita a superstiti.

I Giudici di legittimità hanno evidenziato come la corte territoriale avesse opportunamente richiamato un principio già ripetutamente affermato dalla stessa Suprema Corte, facendo riferimento al noto art. 41 c.p., in base al quale: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento (…)”.

Detta disposizione, dunque, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, trova diretta applicazione in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali. Ne discende che il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, in forza del quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento. L’esistenza del nesso eziologico può, quindi, escludersi solo nel caso in cui sussista un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l’infermità, tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.

Nel caso di specie, applicando il citato principio, si è potuto confermare che le emotrasfusioni rappresentavano un fattore intervenuto nella catena delle condizioni che avevano contribuito all’evento e non aveva, pertanto, interrotto il nesso causale tra l’infortunio e la morte.

AVV. ALDO ARENA

Laureato in Giurisprudenza, iscritto all’Albo degli Avvocati di Bergamo ed all’Albo Cassazionisti dal 2004. Ha un proprio studio professionale a Bergamo. Si occupa tra l’altro di diritto previdenziale ed assistenziale, di diritto penale e responsabilità civile per infortuni sul lavoro e malattie professionali, oltre che di contrattualistica in materia di diritto del lavoro.