Assegno di assistenza personale e continuativa: un caso concreto
Commento Sentenza n. 618-2020 Corte di Appello di Bologna Sezione Lavoro
a cura di Avv. Mauro Dalla ChiesaCome noto ed in base alla scheda del sito ufficiale INAIL, l’APC è una prestazione economica riconosciuta ai titolari di rendita che versano in una o più condizioni menomative, elencate nella tabella (Allegato n. 3) del Testo unico (D.P.R. 1124/1965) e per le quali necessitano di assistenza personale continuativa. Solo per gli eventi fino al 31 dicembre 2006 l’inabilità permanente assoluta, valutata in base alla tabella allegata al T.U., deve essere pari al 100%.
Il caso di cui alla sentenza in commento vedeva il reddituario godere di rendita al 100% tabella ante 2000 e, pertanto, il presupposto di base risulta essere sussistente.
Nel grado di giudizio a seguito di consulenza medico-legale il Tribunale di Parma rigettava la prima domanda aderendo alla motivazione della relazione.
Il CTU rilevava che in relazione al punto 8 (Malattie o infermità che rendono necessaria la continua o quasi continua degenza a letto) il ricorrente non ha malattie o infermità che rendano necessaria la continua o quasi degenza a letto per cui si esclude la possibilità di applicazione. In relazione al punto 6 (Perdita di un arto superiore e di un arto inferiore), il ricorrente non ha la perdita anatomica di un arto superiore e di un arto inferiore. È presente tuttavia un’emiplegiaspastica sinistra con perdita funzionale completa dell’arto superiore sinistro e gravissima compromissione funzionale all’arto inferiore sinistro (anche se residuano trascurabili accenni motori).
Il reddituario, non persosi d’animo, nonostante il rigetto proponeva appello sulle base delle seguenti considerazioni. Vi sono poche decisioni della Suprema Corte di Cassazione rinvenibili relativamente al beneficio invocato. L’elenco delle patologie dalle quali deriva la possibilità di ottenere il beneficio è pacificamente tassativo. Richiamava il seguente caso: Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 03-12-2014) 12-02-2015, n. 2801.
Il caso era il seguente: rigetto della prestazione perché il CTU escludeva che le condizioni del paziente, affetto da una forma di paraparesi meno grave della paraplegia, rendessero necessaria una continua o permanente degenza a letto, essendogli consentito di stare alcune ore seduto o muoversi con l'aiuto di un doppio appoggio. Ne conseguiva che non sussistevano nella fattispecie le condizioni cui la legge subordina il diritto all'assegno richiesto, non ricorrendo alcuna delle menomazioni tassativamente indicate nei numeri da uno a sette della tabella all.3 al T.U. del 1965, nè potendo ritenersi applicabile il n. 8 di detta tabella, che, per la fruizione della provvidenza invocata, prevede l'ipotesi della continua o quasi continua permanenza a letto del soggetto assicurato. Ricorreva per cassazione il reddituario eccependo che la Corte di merito avesse immotivatamente aderito ad una interpretazione restrittiva della norma di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 76 già censurata dal Giudice delle leggi. Invero la sentenza n. 216/91 della Corte Costituzionale, nello scrutinare la norma descritta, ha infatti rimarcato come il punto 8 della tabella di cui all'all. 3 D.P.R. n. 1124 del 1965 attribuisce rilievo indipendentemente dalla presenza di menomazioni specifiche, alla condizione personale dell'invalido. In tale prospettiva, la previsione normativa va correttamente intesa come comprensiva delle situazioni nelle quali sussista impossibilità o anche grave difficoltà a mantenere autonomamente una posizione eretta e di deambulare senza aiuto.
Secondo la Cassazione rimane il principio generale in ordine alla natura tassativa delle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, rimasta invariata anche dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 179 del 18 febbraio 1988, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 cit. D.P.R. ed è stato introdotto nell'ordinamento previdenziale il cd. "sistema misto" di tutela delle tecnopatie (sulla relativa problematica cfr. Cass. 1-2-02 n. 1318, Cass. SS.UU. 9-3-1990 n. 1919).
La Cassazione ritiene tuttavia che, seppure non è consentita l'applicazione "in via analogica" delle previsioni delle tabelle "oltre i casi specificamente considerati" (art. 14 disp. gen.), non vi è ostacolo alla interpretazione estensiva delle nozioni (o voci) tabellari.
Nello specifico, con riferimento alla "voce" n. 8 all. 3 T.U. n. 1124 del 1965, fermo restando che l'assegno spetta soltanto se la malattia costringe l'assicurato ad una "continua o quasi continua degenza a letto", che il giudice ha l'obbligo di specificare il contenuto concreto di tale espressione, tenendo presente che la nozione della degenza a letto "quasi continua" "consente di prevedere... una sia pur limitata autonomia del soggetto, di movimenti o di deambulazione, il più delle volte circoscritta alla camera da letto, per brevi spostamenti dal letto alla sedia o viceversa"; e che talune "non apprezzabili varianti" alla necessità, per l'infermo, di stare "a letto o a sedere su una sedia o su di una carrozzella" non valgono ad "escludere l'esigenza di una continuativa assistenza personale per l'espletamento anche delle più elementari operazioni di vita e di sopravvivenza”).
Invero, la giurisprudenza ha da tempo avvertito che l'indispensabilità dell'assistenza quasi continuativa costituisce requisito da valutare in funzione del soddisfacimento dei primari bisogni di vita dell'invalido e della sua conservazione fisica (Cass. 28-3-74 n. 869); e di conseguenza il giudizio circa la sussistenza della situazione descritta al punto 8) della tabella all. 3 non può prescindere dall'accertamento del possesso, da parte dell'infermo, della capacità di soddisfare autonomamente, sia pur con difficoltà, i bisogni essenziali della vita quotidiana, dovendosi, in caso negativo, verificare se, senza la continua assistenza di altra persona, l'infermo sarebbe costretto a rimanere costantemente o prevalentemente a letto, per totale incapacità di accudire a se stesso anche nelle funzioni primarie ed essenziali della vita.
Richiamava anche la sentenza della Corte Costituzionale 216/91 con la quale i Giudici delle leggi hanno chiaramente affermato che la tabella all. 3 al punto 8 va correttamente intesa come comprensiva delle situazioni nelle quali sussista impossibilità o anche grave difficoltà a mantenere autonomamente una posizione eretta e a deambulare senza aiuto, postulando la verifica di una condizione di vita del soggetto che renda necessaria una assistenza personale tale da consentire all'invalido di attendere ai più elementari atti quotidiani della vita, anche quando sia caratterizzata dalla estrema difficoltà di lasciare la posizione.
Il fisiatra che aveva coadiuvato il consulente medico legale aveva chiarito che il paziente non può deambulare autonomamente. Il paziente è in condizioni di necessitare di una assistenza costante nella esecuzione delle comuni attività di vita e di cura della propria persona. La deambulazione non è possibile e l’autonomia del paziente è solo in carrozzina.
Altresì, per quanto riguarda le patologie inquadrate al punto 8, si dava atto che il paziente aveva perdita (funzionale) sia all’arto superiore sinistro che all’arto inferiore sinistro richiamando il caso di cui alla sentenza. Cass. civ. Sez. lavoro, (ud. 03-02-2004) 15-05-2004, n. 9297.
La Corte di Appello di Bologna in data12.11.2020 con sentenza n. 618-2020 accoglieva integralmente il ricorso e dichiara il diritto dell’invalido del lavoro al beneficio dell’APC richiamando nella motivazione della sentenza tutto quanto dedotto dal ricorrente.
Dichiarava, quindi, ritenersi corretta l’interpretazione estensiva delle voci di tabella e accoglieva la domanda senza rinnovare la consulenza medica in grado di appello.

Laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano è iscritto all’Albo degli Avvocati del Foro di Varese e patrocinante innanzi la Corte di Cassazione ed alle giurisprudenze Superiori. Dal 1992 si occupa in particolare di diritto del lavoro con riferimento ad infortuni sul lavoro e malattie professionali, in collaborazione con ANMIL. Ha maturato un’importante esperienza nel settore patrocinando molti infortunati invalidi del lavoro in tutte le vertenze di categoria. Attualmente è fiduciario delle sedi ANMIL di Gallarate, Varese, Verbania, Biella, Novara ed è consulente legale nazionale dello stesso Patronato. E’ autore di pubblicazioni sul sito internet dell’ANMIL, “Obiettivo Tutela” e collabora con il mensile “Vita”.