Infortuni in itinere: casi particolari di risarcimento del danno da parte dell’INAIL
a cura di Avv. Mauro Dalla ChiesaIn un caso come quello della dottoressa di Teramo, uccisa da uno stalker, è utile conoscere se lo stesso possa essere qualificato, o meno, quale infortunio sul lavoro “in itinere”, essendosi verificato nell’esercizio delle proprie mansioni.
Sul punto, sia prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38/2000, che in vigenza del T.U. 1124/1965, erano presenti due indirizzi giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione di segno diametralmente opposto.
Una prima tesi estendeva il concetto di infortunio assicurato affermando il principio secondo cui, in tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pur nel regime precedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000, era indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore in itinere se derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell’assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell’attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo.
L’altra tesi riteneva che la causa violenta doveva essere connessa all’attività lavorativa, nel senso che doveva attenere all’attività o, quantomeno, occasionata dal suo esercizio.
In tale secondo indirizzo si inseriscono anche quelle pronunce secondo le quali l’art. 12 del D.Lgs. n. 38/2000 - che ha espressamente ricompreso nell’assicurazione obbligatoria la fattispecie dell’infortunio in itinere, disciplinandolo nell’ambito della nozione di “occasione di lavoro” di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 1124/1965 - esprime criteri normativi (come quelli di “interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate”) che delimitano l’operatività della garanzia assicurativa, condizionando l’indennizzabilità dell’infortunio alla sussistenza di un vincolo “obiettivamente ed intrinsecamente apprezzabbile con la prestazione dell’attività lavorativa” e all’accertamento di “una relazione tra l’attività lavorativa ed il rischio al quale il lavoratore è esposto, indispensabile a concretizzare quel “rischio specifico improprio” o “generico aggravato” che rientra nella ratio del suddetto art. 2.
La Suprema Corte, Sezioni Unite, con la sentenza n. 17685 del 07-09-2015, ha scelto la tesi più restrittiva affermando il principio secondo cui per l’infortunio in itinere deve sussistere la necessità non solo della “causa violenta”, ma anche dell’“occasione di lavoro”, per cui, in caso di fatto doloso del terzo, deve escludersi dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare l’“occasione di lavoro” in quanto il collegamento tra l’evento ed il “normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro” risulti basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l’aggressore e la vittima del tutto estranei all’attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro).
Nel caso trattato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, la lavoratrice era stata aggredita ed accoltellata dal proprio convivente mentre si recava al lavoro. Pertanto, nell’ipotesi specifica, a prima vista, un’eventuale istanza di riconoscimento del fatto quale infortunio sul lavoro “in itinere” sembra precluso. Tuttavia, negli isolati orientamenti giurisprudenziali esistenti in materia, va evidenziata la sentenza del 3 dicembre 2013 del Tribunale di Bari che aveva ritenuto che la circostanza delle modalità anche orarie dell’attività lavorativa della vittima ha costituito, oggettivamente e soggettivamente, la cornice ideale, e probabilmente l’unica possibile per un omicida di quel tipo, per realizzare il proposito criminoso in quanto affrontava repentinamente la vittima di mattino presto, allorquando le strade sono poco popolate di gente, e mentre era ancora in sella alla sua bicicletta, situazione che ne rendeva più che difficoltosa la fuga e la difesa.
In definitiva, occorre accertare se le circostanze di tempo e di luogo e dell’orario di lavoro della vittima costituiscono una condizione senza la quale l’aggressore non avrebbe avuto possibilità di eseguire il piano criminoso.
Nel caso in esame si dovrebbero approfondire le circostanze di fatto che hanno indotto l’aggressore a commettere il delitto sul luogo di lavoro della vittima.

Laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano è iscritto all’Albo degli Avvocati del Foro di Varese e patrocinante innanzi la Corte di Cassazione ed alle giurisprudenze Superiori. Dal 1992 si occupa in particolare di diritto del lavoro con riferimento ad infortuni sul lavoro e malattie professionali, in collaborazione con ANMIL. Ha maturato un’importante esperienza nel settore patrocinando molti infortunati invalidi del lavoro in tutte le vertenze di categoria. Attualmente è fiduciario delle sedi ANMIL di Gallarate, Varese, Verbania, Biella, Novara ed è consulente legale nazionale dello stesso Patronato. E’ autore di pubblicazioni sul sito internet dell’ANMIL, “Obiettivo Tutela” e collabora con il mensile “Vita”.