Il riconoscimento degli infortuni policroni

a cura di Avv. Mauro Dalla Chiesa

L'art. 80 del T.U. 1124 disciplina secondo quanto segue l'istituto della unificazione della rendita per successivo infortunio: "Nel caso in cui il titolare di una rendita, corrisposta a norma del presente titolo, sia colpito da un nuovo infortunio indennizzabile con una rendita di inabilità, si procede alla costituzione di un'unica rendita in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro causata dalle lesioni determinate dal precedente o dai precedenti infortuni e dal nuovo, valutata secondo le disposizioni dell'art. 78 ed in base alla retribuzione che è servita per la determinazione della precedente rendita. Se però tale retribuzione è inferiore a quella in base alla quale sarebbe stata liquidata la rendita in relazione al nuovo infortunio, la nuova rendita viene determinata in base a quest'ultima retribuzione. Nel caso in cui il nuovo infortunio per sè considerato determini un'inabilità permanente non superiore al 10% e l'inabilità complessiva sia superiore a quella in base alla quale fu liquidata la precedente rendita, è liquidata una nuova rendita secondo le norme del comma precedente. Nel caso in cui, a seguito di precedenti infortuni, sia residuata inabilità permanente che non superi il 10% ed in seguito a nuovo infortunio risulti un’inabilità permanente che complessivamente superi detta percentuale, è liquidata una rendita in base al grado di riduzione dell'attitudine al lavoro risultante dopo l’'ultimo infortunio ed alla retribuzione percepita all'epoca in cui questo si e verificato".

La domanda di unificazione è soggetta all'ordinario termine di prescrizione triennale, che decorre dall'evento successivo da unificare.

Vige in materia il principio del rispetto della percentuale inabilitante consolidata al decennio in caso di unificazione di rendite. Pertanto, se la precedente rendita non è più soggetta a revisione per scadenza dei termini, c.d. rendita consolidata, la rendita unica non può essere rapportata ad una inabilità complessiva inferiore alla percentuale in base alla quale fu liquidata la rendita ormai consolidata (Cost., n. 318/1989; Circ. .69/1989). II medesimo principio è applicabile anche nell’ipotesi in cui, dopo la costituzione della rendita unica, si debba procedere (entro i termini previsti) alla revisione di tale rendita per eventuale variazione dei postumi dell'ultimo evento invalidante.

Dopo la riforma del Testo Unico, l’articolo 135 comma del D.Lgs. n. 38/2000 dispone:

Nel caso in cui l'assicurato, già colpito da uno o più eventi lesivi rientranti nella disciplina delle presenti disposizioni, subisca un nuovo evento lesivo si procede alla valutazione complessiva dei postumi ed alla liquidazione di un'unica rendita o dell'indennizzo in capitale corrispondente al grado complessivo della menomazione dell’integrità psicofisica. L'importo della nuova rendita o del nuovo indennizzo in capitale è decurtato dell'importo dell'eventuale indennizzo in capitale già corrisposto e non recuperato.

La Suprema Corte di Cassazione (ex multis Cass. Civ. 1.3.2016 n. 4022) chiarisce che in rapporto all'originaria domanda di riconoscimento di una rendita per infortunio sul lavoro è inammissibile la richiesta in appello, formulata ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, ex art. 80, di cumulo con altra rendita relativa a diverso infortunio sul lavoro non riferibile a modificazioni delle condizioni fisiche dell'assicurato successive alla proposizione della predetta domanda, comportando tale richiesta la valutazione dei fatti costitutivi della nuova fattispecie dedotta, in violazione dei limiti posti dall'art. 437 c.p.c. e non potendo trovare applicazione, d'altra parte, il disposto dell'art. 149 disp. att. c.p.c., invocabile solo ove il diverso infortunio sia intervenuto in corso di giudizio (cfr. Cass. sez. un. 29.7.2002 n. 11198 e successiva conforme giurisprudenza, tra cui, da ultimo, Cass. 20.12.2011 n. 27691).

Altro aspetto esaminato dalla giurisprudenza è quello relativo alla cristallizzazione dei postumi delle malattie professionali.

Secondo l’art. 137 T.U., il termine del quindicennio corrisponde al principio della stabilizzazione dei postumi basato sulle acquisizioni, della scienza medica, per cui si presume che oltre quel termine la tecnopatia non evolva né in melius né in peius, proprio ciò impone di considerare se la presunzione iuris et de iure di stabilizzazione dei postumi, di cui all'art. 137, e, quindi, il limite temporale della rilevanza delle variazioni delle condizioni fisiche dell'assicurato, valga anche nel caso in cui, non mutando le condizioni ambientali, i tempi e le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, l'aggravamento della malattia professionale dipenda dal protrarsi dell'esposizione al rischio morbigeno.

Secondo il Giudice di legittimità (Cass. 5548-2011), in siffatte situazioni, l'aspetto che viene in considerazione non concerne l'evoluzione della patologia, causata dal fattore morbigeno accertato e valutato dall'Istituto assicuratore, ma la concorrenza con il primo di altro fattore costituito dalla prosecuzione dell'esposizione lavorativa al medesimo rischio morbigeno. Pertanto, la fattispecie deve ritenersi estranea all'ipotesi di cui all'art. 137 cit..

Tale interpretazione trova il conforto della Corte Costituzionale che, con la recente sentenza n. 46/2010, ha dichiarato l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 80 e 131, sollevata per asserita violazione dei principi dettati dagli artt. 3, 32 e 38 Cost.. Ha osservato, in proposito, la Corte che le due norme, riferendosi all'ipotesi di "nuova" malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale ("vecchia", quindi, in contrapposizione alla "nuova"), il protrarsi dell'esposizione al medesimo rischio patogeno determini una "nuova" inabilità che risulti superiore a quella già riconosciuta. Tale interpretazione delle norme sopracitate non fa ricadere l'ipotesi così delineata nell'ambito di applicabilità del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, il quale si riferisce esclusivamente all'aggravamento eventuale e consequenziale dell'inabilità derivante dalla naturale evoluzione della originaria malattia. Quando, invece, il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell'esposizione a rischio patogeno, e si è quindi in presenza di una "nuova" malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella dettata dall'art. 80, estesa alle malattie professionali dall'art. 131.

Avv. Mauro DALLA CHIESA

Laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano è iscritto all’Albo degli Avvocati del Foro di Varese e patrocinante innanzi la Corte di Cassazione ed alle giurisprudenze Superiori. Dal 1992 si occupa in particolare di diritto del lavoro con riferimento ad infortuni sul lavoro e malattie professionali, in collaborazione con ANMIL. Ha maturato un’importante esperienza nel settore patrocinando molti infortunati invalidi del lavoro in tutte le vertenze di categoria. Attualmente è fiduciario delle sedi ANMIL di Gallarate, Varese, Verbania, Biella, Novara ed è consulente legale nazionale dello stesso Patronato. E’ autore di pubblicazioni sul sito internet dell’ANMIL, “Obiettivo Tutela” e collabora con il mensile “Vita”.