Onere della prova per la malattia non tabellata: un viaggio tra le sfumature

a cura di Avv. Aldo Arena

Il caso di un veterinario dà occasione di fornire un esempio di quanto possa essere ampio l’onere della prova in capo al lavoratore, nella causa intentata avverso l’INAIL, per il riconoscimento di una malattia professionale non tabellata o ad eziologia multifattoriale.

L’interessato aveva documentato l’abituale e quotidiana presenza presso allevamenti bovini, al fine di svolgere controlli di sanità animale.

Aveva, inoltre, provato il contatto con il batterio campylobacter, peraltro annoverato dall’INAIL tra i fattori di rischio connessi allo specifico svolgimento della professione di veterinario. Lo stesso aveva altresì documentato la propria affezione da gastroenterite acuta, seguita, nei mesi successivi, dalla diagnosi di neuropatia motoria multifocale, di cui aveva chiesto accertarsi l’origine professionale.

Orbene, secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 26041/2018) non è possibile intervenire sulla pronuncia della Corte territoriale, che ha rigettato la domanda proposta dal lavoratore, senza incappare in questioni di merito, costituenti peraltro mero dissenso diagnostico, il cui esame è per definizione escluso nella propria sede.

Invero, la Corte d’appello, secondo il supremo Collegio, ha ben argomentato la propria decisione con progressiva sequenza motivazionale. Pur ammettendo che non si possa escludere l’avvenuta contrazione della campylobatteriosi sul luogo di lavoro, ha rimarcato la dubbia origine, nella specie, dell’affezione gastroenterica, non potendo statuire con certezza o probabilità qualificata che sia stata causata dal campylobacter, anche per la relativa indeterminatezza temporale. In ogni caso, è risultata mancante le prova di aver contratto l’infezione nella vita professionale e non nella vita quotidiana, non essendo stato riferito alcun incidente lavorativo nel quale il contagio sarebbe avvenuto. Infine, è del pari mancata la prova del fatto che l’infezione abbia causato la neuropatia motoria, stante la letteratura scientifica non concorde sull’esistenza di un nesso causale tra la specifica infezione e la patologia neurologica denunciata.

Quanto sopra ci dà la misura della complessità dell’onere probatorio in questione ed ha consentito al Supremo Collegio di ribadire il consolidato principio secondo cui, in caso di malattia professionale non tabellata, come anche in quello di malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, esclusa la rilevanza della mera possibilità di origine professionale.

Il Giudice, pertanto, deve consentire l’esperimento di tutti i mezzi di prova ammissibili ritualmente dedotti, ma deve anche valutare le conclusioni probabilistiche del consulente tecnico in tema di nesso causale, facendo ricorso ad ogni iniziativa d’ufficio diretta ad acquisire ulteriori elementi, anche considerando che la natura professionale della malattia può essere desunta con levato grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione e dall’assenza di fattori extralavorativi. Peraltro, la nozione legale condivisa di causa violenta comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente lavorativo in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, che agendo in maniera concentrata o lenta provochi rispettivamente un infortunio sul lavoro o una malattia professionale.

AVV. ALDO ARENA

Laureato in Giurisprudenza, iscritto all’Albo degli Avvocati di Bergamo ed all’Albo Cassazionisti dal 2004. Ha un proprio studio professionale a Bergamo. Si occupa tra l’altro di diritto previdenziale ed assistenziale, di diritto penale e responsabilità civile per infortuni sul lavoro e malattie professionali, oltre che di contrattualistica in materia di diritto del lavoro.