La sofferenza interiore del lavoratore infortunato merita di essere distintamente risarcita rispetto al danno esistenziale

a cura di Avv. Aldo Arena

Con l’ordinanza n. 24473 del 4 novembre 2020, la Suprema Corte ha stabilito la condanna risarcitoria del committente e dell’appaltatore per l’esecuzione di lavori di installazione di pannelli solari, in occasione dei quali un lavoratore subiva un grave infortunio per la caduta da un ponteggio. Più precisamente, la Corte è stata chiamata a verificare se la sofferenza interiore patita dal lavoratore in seguito ad un infortunio fortemente invalidante meritasse o meno una quantificazione risarcitoria ulteriore rispetto a quella del danno esistenziale.

Sia il Giudice di prime cure che quello d’appello, infatti, avevano liquidato un’ulteriore somma a titolo di danno, o meglio, di personalizzazione del danno, basata dal fatto che l’infortunato, in conseguenza della disabilità forzosa occorsa, non fosse più in grado di camminare e parlare.

Ricorrono per la riforma della sentenza d’appello le due società, affermando che tale giudizio risulterebbe viziato proprio dal fatto che le conseguenze sopraindicate costituiscono normale e prevedibile effetto della invalidità scaturita dall’infortunio e che quindi siano già comprese nel quantum risarcitorio standardizzato e prestabilito.

La Suprema Corte, premessa una censura nei confronti dei giudici di primo e secondo grado, che avevano erroneamente qualificato la sofferenza del lavoratore de quo come personalizzazione del danno biologico e non come danno morale soggettivo, arriva a respingere le richieste avanzate dai ricorrenti.

A tal uopo, i giudici di legittimità fanno proprio il principio, ormai consolidato in giurisprudenza (prima su tutte la Corte costituzionale con sentenza n. 233/2003 e la Cass. a S.U. con le sentenze nn. 26972 e 26975 del giorno 11 novembre 2008), della unitarietà ed onnicomprensività del danno non patrimoniale ribadendo che, ai fini della valutazione del danno non patrimoniale, si deve tenere conto “di tutte le conseguenze, derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici (…)”.

Ciò premesso, l’accertamento del danno non patrimoniale necessita di una attenta valutazione e distinzione tra la lesione dell’interiorità violata dall’illecito e la lesione della sfera dinamico-relazionale della persona, ossia di tutte le relazioni esterne dell’individuo, in quanto queste rappresentano due aspetti differenti del danno non patrimoniale. Ne consegue che la sofferenza interiore dell’individuo, rientrante nella categoria giuridica del danno morale, non costituisce duplicazione risarcitoria del cosiddetto danno esistenziale, dal momento che quest’ultimo rappresenta la violazione del cosiddetto “fare areddituale” il quale incide sulle relazioni di vita esterne all’individuo.

La Corte, poi, ad ulteriore riprova di tale distinzione rammenta il contenuto dell’art. 138 lett. e) del Codice delle assicurazioni, nell’ultima formulazione del 2017, il quale riconosce espressamente l’esistenza del danno morale, quale forma di pregiudizio distinta e meritevole di separata liquidazione rispetto al danno biologico, corrispondendo, quest’ultimo, alla lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale, avente ad oggetto anche gli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato nello svolgimento delle sue attività e relazioni quotidiane.

Di talché, la Corte conclude affermando che costituisce duplicazione risarcitoria il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale, giacché questi costituiscono voci del medesimo pregiudizio. Di contro, non rappresenta duplicazione risarcitoria il contestuale ristoro del danno morale, inteso come sofferenza interiore, patema d’animo dell’infortunato, e del danno esistenziale, ossia del danno biologico quale lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

AVV. ALDO ARENA

Laureato in Giurisprudenza, iscritto all’Albo degli Avvocati di Bergamo ed all’Albo Cassazionisti dal 2004. Ha un proprio studio professionale a Bergamo. Si occupa tra l’altro di diritto previdenziale ed assistenziale, di diritto penale e responsabilità civile per infortuni sul lavoro e malattie professionali, oltre che di contrattualistica in materia di diritto del lavoro.