Assegno per assistenza personale continuativa brevi cenni

a cura di Avv. Mauro Dalla Chiesa

Come noto e in base alla scheda del sito ufficiale INAIL l’APC è una prestazione economica riconosciuta ai titolari di rendita che versano in una o più condizioni menomative, elencate nella tabella (Allegato n.3) del Testo unico (d.p.r. 1124/1965) e per le quali necessitano di assistenza personale continuativa. Solo per gli eventi fino al 31 dicembre 2006 l’inabilità permanente assoluta, valutata in base alle tabella allegata al T.U., deve essere pari al 100%.

L’assegno costituisce una integrazione della rendita e viene corrisposto mensilmente; non è soggetto a tassazione Irpef e non è cumulabile con altri assegni di accompagnamento corrisposti dallo Stato o da altri Enti pubblici. Durante i periodi di ricovero l’integrazione della rendita viene sospesa.

L’importo dell’assegno viene rivalutato annualmente, con apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo. Per il 2016 l'importo è di euro 533,22.

La prestazione è erogata, finché permane la necessità di assistenza personale e continuativa, a partire da:

  • data di decorrenza della rendita
  • o primo giorno del mese successivo alla richiesta del titolare di rendita per ottenere il riconoscimento dell’assistenza personale continuativa o per la revisione del grado di inabilità o di menomazione
  • o primo giorno del mese successivo all’invito da parte dell’Inail a sottoporsi a visita per la revisione del danno permanente.

Menomazioni che possono dar luogo alla prestazione

  • Riduzione della acutezza visiva, tale da permettere soltanto il conteggio delle dita alla distanza della visione ordinaria da vicino (cm. 30) o più grave
  • Perdita di nove dita delle mani, compresi i due pollici
  • Lesioni del sistema nervoso centrale che hanno prodotto paralisi totale flaccida dei due arti inferiori
  • Amputazione bilaterale degli arti inferiori:
    • di cui uno sopra il terzo inferiore della coscia e l’altro all’altezza del collo del piede o al di sopra
    • all'altezza del collo del piede o al di sopra, quando sia impossibile l’applicazione di protesi
  • Perdita di una mano e di ambedue i piedi, anche se sia possibile l’applicazione di protesi
  • Perdita di un arto superiore e di un arto inferiore:
    • sopra il terzo inferiore, rispettivamente, del braccio e della coscia
    • sopra il terzo inferiore, rispettivamente, dell’avambraccio e della coscia
  • Alterazione delle facoltà mentali che apportino gravi e profondi perturbamenti alla vita organica e sociale
  • Malattie o infermità che rendano necessaria la continua o quasi continua degenza a letto.

PRESCRIZIONE:

Vi sono sentenze di merito con risultati controversi. L’unico risalente precedente della Suprema Corte relativo agli eredi di un socio Anmil (Cass. civ. Sez. lavoro, 02-12-1998, n. 12215) riporta il seguente principio di diritto.

La tesi, infine, che la prescrizione decorrerebbe dalla domanda, che peraltro gli stessi ricorrenti qualificano come condizione per l'erogazione della prestazione e non come elemento costitutivo del diritto, contrasta con la espressa previsione dell'art.112 del TU. , come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n.116 dell'8 luglio 1969. Secondo la norma speciale la prescrizione inizia a decorrere in relazione all'infortunio subito dal momento in cui l'inabilità o l'invalidità permanente abbia raggiunto il grado minimo di indennizzabilità, poiché i requisiti secondo l'art.76 per la rendita sono l'invalidità permanente assoluta conseguente a menomazioni elencate nella tabella allegata n.3 nella quale sia indispensabile una assistenza personale continuativa, è da questo momento che decorre la prescrizione, come esattamente ritenuto dal Tribunale e non dalla domanda (v. per argomentazioni Cass. n.4260 del 1987) .

TASSATIVITA’ DELL’ELENCO

L’elenco delle patologie dalle quali deriva la possibilità di ottenere il beneficio è tassativo.

Sul punto vedi Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 03-12-2014) 12-02-2015, n. 2801

il caso era il seguente:
Rigetto della prestazione perché il CTU escludeva che le condizioni del paziente, affetto da una forma di paraparesi meno grave della paraplegia, rendessero necessaria una continua o permanente degenza a letto, essendogli consentito di stare alcune ore seduto o muoversi con l'aiuto di un doppio appoggio. Ne conseguiva che non sussistevano nella fattispecie le condizioni cui la legge subordina il diritto all'assegno richiesto, non ricorrendo alcuna delle menomazioni tassativamente indicate nei numeri da uno a sette della tabella all.3 al T.U. del 1965, nè potendo ritenersi applicabile il n. 8 di detta tabella, che, per la fruizione della provvidenza invocata, prevede l'ipotesi della continua o quasi continua permanenza a letto del soggetto assicurato.

Ricorreva per cassazione il reddituario eccependo che la Corte di merito avesse immotivatamente aderito ad una interpretazione restrittiva della norma di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 76 già censurata dal Giudice delle leggi. Invero la sentenza n. 216/91 la Corte Costituzionale, nello scrutinare la norma descritta, ha infatti rimarcato come il punto 8 della tabella di cui all'all. 3 D.P.R. n. 1124 del 1965 attribuisce rilievo indipendentemente dalla presenza di menomazioni specifiche, alla condizione personale dell'invalido. In tale prospettiva, la previsione normativa va correttamente intesa come comprensiva delle situazioni nelle quali sussista impossibilità o anche grave difficoltà a mantenere autonomamente una posizione eretta e di deambulare senza aiuto.

Secondo la Cassazione rimane il principio generale in ordine alla natura tassativa delle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, rimasta invariata anche dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 179 del 18 febbraio 1988, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 cit. D.P.R. ed è stato introdotto nell'ordinamento previdenziale il cd. "sistema misto" di tutela delle tecnopatie (sulla relativa problematica cfr. Cass. 1-2-02 n. 1318, Cass. SS.UU. 9-3-1990 n. 1919).

La cassazione ritiene tuttavia che, seppure non è consentita l'applicazione "in via analogica" delle previsioni delle tabelle "oltre i casi specificamente considerati" (art. 14 disp. gen.), non vi è ostacolo alla interpretazione estensiva delle nozioni (o voci) tabellari.

Nello specifico, con riferimento alla "voce" n. 8 all. 3 T.U. n. 1124 del 1965 , fermo restando che l'assegno spetta soltanto se la malattia costringe l'assicurato ad una "continua o quasi continua degenza a letto", che il giudice ha l'obbligo di specificare il contenuto concreto di tale espressione, tenendo presente che la nozione della degenza a letto "quasi continua" "consente di prevedere ... una sia pur limitata autonomia del soggetto, di movimenti o di deambulazione, il più delle volte circoscritta alla camera da letto, per brevi spostamenti dal letto alla sedia o viceversa"; e che talune "non apprezzabili varianti" alla necessità, per l'infermo, di stare "a letto o a sedere su una sedia o su di una carrozzella" non valgono ad "escludere l'esigenza di una continuativa assistenza personale per l'espletamento anche delle più elementari operazioni di vita e di sopravvivenza).

Invero, la giurisprudenza ha da tempo avvertito che l'indispensabilità dell'assistenza quasi continuativa costituisce requisito da valutare in funzione del soddisfacimento dei primari bisogni di vita dell'invalido e della sua conservazione fisica (Cass. 28-3-74 n. 869); e di conseguenza il giudizio circa la sussistenza della situazione descritta al punto 8) della tabella all. 3 non può prescindere dall'accertamento del possesso, da parte dell'infermo, della capacità di soddisfare autonomamente, sia pur con difficoltà, i bisogni essenziali della vita quotidiana, dovendosi, in caso negativo, verificare se, senza la continua assistenza di altra persona, l'infermo sarebbe costretto a rimanere costantemente o prevalentemente a letto, per totale incapacità di accudire a se stesso anche nelle funzioni primarie ed essenziali della vita.

Che la esegesi della disposizione scrutinata sia da condurre in conformità ai canoni descritti, è dato desumibile anche dalla pronuncia n. 216/91 con la quale i Giudici delle leggi hanno chiaramente affermato che la tabella all. 3 al punto 8 va correttamente intesa come comprensiva delle situazioni nelle quali sussista impossibilità o anche grave difficoltà a mantenere autonomamente una posizione eretta e a deambulare senza aiuto, postulando la verifica di una condizione di vita del soggetto che renda necessaria una assistenza personale tale da consentire all'invalido di attendere ai più elementari atti quotidiani della vita, anche quando sia caratterizzata dalla estrema difficoltà di lasciare la posizione sdraiata o seduta, senza l'aiuto altrui.

AVV. MAURO DALLA CHIESA

Laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano è iscritto all’Albo degli Avvocati del Foro di Varese e patrocinante innanzi la Corte di Cassazione ed alle giurisprudenze Superiori. Dal 1992 si occupa in particolare di diritto del lavoro con riferimento ad infortuni sul lavoro e malattie professionali, in collaborazione con ANMIL. Ha maturato un’importante esperienza nel settore patrocinando molti infortunati invalidi del lavoro in tutte le vertenze di categoria. Attualmente è fiduciario delle sedi ANMIL di Gallarate, Varese, Verbania, Biella, Novara ed è consulente legale nazionale dello stesso Patronato. E’ autore di pubblicazioni sul sito internet dell’ANMIL, “Obiettivo Tutela” e collabora con il mensile “Vita”.